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Natale ad Haiti (FONTE MISSIONLINE)

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Messaggio  Admin Sab Dic 25, 2010 2:19 am

Maurizio Barcaro. Una missione laica ad Haiti

FONTE: MISSIONLINE

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Padre Tom e la sua vita nuova ad Haiti

«La mia vita nuova nell'Haiti del terremoto»
di Andrea Galli
È partito per la missione a 70 anni, e ad accoglierlo ha trovato subito il terremoto. E poi la ricostruzione che non c'è, il colera, i disordini. Ma padre Thomas Moore continua a vedere i segni della speranza

«La domanda non è "Padre, lei come fa a mantenere un senso di ottimismo e di speranza in una situazione in cui sono successe tali terribili cose?", ma è "come fanno loro?". Perché per la gente di Haiti la vita, semplicemente, continua. Gente magnifica e, a mio giudizio, invincibile. Il numero dei morti dall'inizio dell'anno è impressionante - 230mila per il terremoto, più quelli per l'uragano e ora quelli per il colera - tuttavia non sono riportati casi di suicidio. Sarebbe interessante fare un paragone con i suicidi negli Stati Uniti solo nelle ultime settimane. Forse è San Paolo che può aiutare a capire, in questo passo della Lettera ai Romani: "Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato"».

Così scriveva il 28 novembre padre Thomas Moore nel suo blog. Piccolo rifugio nei ritagli di tempo, quando c'è la corrente, e mezzo per far conoscere la vita sull'isola e ai parenti e amici lasciati negli Usa.

Padre Tom è un religioso della provincia di Detroit-Toledo degli Oblati di San Francesco di Sales. Avrebbe potuto finire tranquillamente in patria il suo ministero sacerdotale. Due anni fa, alla veneranda età di 70 anni, ha invece chiesto di essere mandato ad Haiti per dare una mano nel nuovo noviziato dell'isola. «Per un'ispirazione divina», dice. Un paio di giorni dopo il terremoto, con la casa crollata, due religiosi morti e altri feriti, l'avevano dato per defunto. I confratelli avevano preparato un necrologio. E invece padre Tom è riapparso, deciso a condividere fino in fondo la tragedia di un popolo a cui la sua parabola si è legata misteriosamente.

«In questo momento abbiamo 18 postulanti che stanno studiando filosofia e teologia - racconta via mail -, viviamo tutti molti stretti sotto lo stesso tetto. Abbiamo iniziato le lezioni in aprile, continuiamo a farle nelle tende. La nostra biblioteca è andata distrutta. Abbiamo salvato qualcosa, ma abbiamo bisogno di libri e altro materiale didattico che qui non si trova. Per questi ragazzi che iniziano la vita religiosa, condividere le sofferenze del loro popolo è un'esperienza formativa in sé. È un tempo di profonda preghiera, per discernere la volontà di Dio, e di carità, portando aiuto a coloro che hanno più bisogno».

Dopo la catastrofe e l'epidemia, adesso sono arrivati anche gli incidenti e la rabbia per i risultati delle ultime elezioni, pochi giorni fa. Il giudizio di padre Tom sulla corruzione e il malgoverno ad Haiti è netto: «A parte i generosissimi aiuti medici e la distribuzione di acqua e cibo degli inizi, dopo quasi un anno non ho visto veri tentativi di ricostruire Port-Au-Prince. Non ho sentito di piani per radere al suolo gli edifici inabitabili o per ricostruire le infrastrutture. Non vedo camion portare via le macerie. Vedo gente che cerca di tirare giù a mano le case pericolanti e altri che trascinano pezzi di cemento in mezzo alla strada, dove restano bloccando il traffico». Disillusione e realismo: «Come scriveva nel XIV secolo il monaco autore de La nube della non-conoscenza: "Non importa quanto santo tu diventi in questa vita: non riuscirai mai a evitare gli effetti del peccato originale"».

Quello che rifulge tra le macerie è la vita cristiana, la fede nuda di chi può far affidamento quasi solo su Dio. «Posso citare la mia parrocchia, Saint Louis Roi de France, a Turgeau - Port-Au-Prince - racconta sempre questo figlio americano di san Francesco di Sales - dopo il terremoto, che ha distrutto la bella chiesa eretta 125 anni fa, il parroco è stato il primo a organizzare gli aiuti, ha portato cibo, ha trovato alcuni dottori e del personale infermieristico per curare centinaia di persone della zona. La ‘clinica', sotto un telone di plastica, è ancora in funzione. Abbiamo iniziato a celebrare la Messa all'aperto e lo spazio attorno alle rovine della chiesa è diventato un luogo di ritrovo per chi aveva perso tutto. In quaresima abbiamo organizzato delle via Crucis, meditando alle varie stazioni sugli effetti del terremoto». Uno dei momenti più toccanti è stata la festa del Corpus Domini, sentitissima sull'isola: «Qui si tiene prima la processione e poi la Messa. Siamo partiti in circa 300 dalla chiesa parrocchiale alle 6 e mezzo di mattina. Ci siamo incamminati per le strade che sono di solito intasate di traffico, ma che per l'occasione era stato dirottato altrove. Il parroco, che portava l'ostensorio, si fermava agli altari preparati lungo la via dalle famiglie. Recitava preghiere di riparazione e impartiva la benedizione eucaristica. Nei pressi di queste fermate la gente aveva fatto per terra dei disegni che sembravano quelli di sabbia dei monaci buddisti. Solo che al posto della sabbia avevano usato braci e pezzi di cemento delle case crollate. Disegni di mani giunte e sacri cuori. Tutti cancellati dopo che la gente li ha calpestati. Un lavoro fatto per amore. Mentre la processione continuava, altri si univano a noi. Alla fine saranno stati più di mille, che cantavano e pregavano rivolti al cielo. Un'esperienza che mi ha toccato nel profondo. Mi ha ricordato quando sono stato a Lourdes, la processione di sera con le candele e la fede dei pellegrini quasi palpabile. Questa è la Chiesa in azione. È Cristo che tocca la vita delle persone, sanando e portando pace in mezzo alla distruzione».

Questa, per padre Tom, è anche la Chiesa per cui vale pena diventare missionari quando gli altri se ne vanno in pensione: «Vivere il terremoto è stato vivere l'orrore. Morte e sofferenza ovunque, con un senso di impotenza. Oggi posso dire che il mio spirito è contento di essere qui, con questo popolo meraviglioso, anche se il mio corpo lo è meno. Ci sono piccole cose - l'elettricità, l'acqua corrente calda o fredda, lo spazio personale, la privacy - che in un Paese come gli Usa sono scontate. Qui sono un lusso. Per fortuna ho il dono della salute: ho 72 anni ma è come se ne sentissi 45. Un'altra grazia».



«Educare, l'unica vera ricostruzione»

«Educare è la vera ricostruzione»
di Anna Pozzi
Parla il rettore dell'Università Cattolica di Haiti, mons. André-Pierre. Che - insieme a quella di Milano - sta per far partire il progetto di un nuovo master sull'aiuto in contesti di vulnerabilità e povertà

Quindici anni di esistenza, quattro sedi, sette facoltà, tremila studenti circa. L’Università cattolica Notre Dame di Haiti è un segno. Meglio un seme. Di futuro. E lo è anche e soprattutto oggi, nonostante il terremoto e la distruzione, nonostante le gravi perdite anche umane che ha subìto. «Edifici crollati, studenti e insegnanti uccisi dal terremoto. Eppure un mese dopo abbiamo ricominciato. Magari in cortile, sotto gli alberi. Ma bisognava reagire».

Mons. Perre André-Pierre, rettore dell’Università cattolica, non manca certo di determinazione ed entusiasmo. Quello che serve in un Paese che stenta a risollevarsi dopo un anno decisamente orribile: in gennaio il terremoto, poi l’uragano, quindi il tornado ed ora il colera. Senza dimenticare tutto il peso di una storia fatta di atroci dittature e di dilagante corruzione. «Ma ora speriamo che sia arrivato tempo di guardare finalmente avanti», dice mons. André-Pierre, di passaggio all’Università Cattolica di Milano, con cui ha avviato una collaborazione. «Certo, l’esito incerto delle elezioni e le violenze che ne sono seguite, ci fanno rimanere con il fiato sospeso. Ma speriamo che dopo il ballottaggio in gennaio, si possa finalmente voltare pagina».

Nessuno ha la bacchetta magica, sembra voler dire il rettore, ma tutti sono chiamati, oggi più che mai, a rimboccarsi le maniche per ricostruire - anzi, per certi versi, di rifondare - Haiti. La strada privilegiata,a suo avviso, è quella dell’istruzione. Universitaria, ma non solo. «La Chiesa haitiana - dice - sta facendo un lavoro enorme a tutti i livelli, dalla materna all’università, per garantire l’istruzione al più grande numero di bambini e giovani possibile. Solo così si potrà dare un futuro a questo Paese». «Haiti - insiste - ha bisogno di una classe dirigente nuova, preparata, responsabile e con dei valori etici. Per questo stiamo studiando, insieme all’Università Cattolica di Milano, la possibilità di far partire un master di primo livello».

Il progetto è già in fase di studio avanzata. Il master in Relazioni di aiuto in contesti di vulnerabilità e povertà nazionali e internazionali, diretto dalla professoressa Cristina Castelli, dovrebbe partire con il prossimo anno accademico 2011, e sarà aperto a una trentina di studenti. «Si tratta di neolaureati o di professionisti che vogliono investirsi anche in campo politico e sociale. Ad Haiti abbiamo un grande bisogno di quadri. Questo master è molto importante per cominciare a dare delle risposte».

L’Università Cattolica di Milano ha già operato nel corso del 2010 ad Haiti, attraverso due interventi coordinati dalla professoressa Castelli, essenzialmente di supporto psicologico e formativo post-sisma, su richiesta e in collaborazione con la Conferenza episcopale haitiana e la nunziatura. Mons. André-Pierre è, pure lui, tra i sopravvissuti per miracolo al terremoto. «Stavo entrando nell’ufficio di mons. Joseph Serge Miot, l’arcivescovo di Port-au Price - ricorda - quando una persona mi ha fermato per salutarmi. In quel momento c’è stata la scossa. Mons. Miot è stato travolto dalle macerie e ha perso la vita, mentre io sono stato scaraventato nel cortile e sono sopravvissuto».

Oggi, il rettore è in prima linea con i professori e gli studenti dell’Università Cattolica per cercare di costruire qualcosa di nuovo e di buono per il suo Paese. «Dobbiamo lavorare sodo per preparare leader onesti, che lavorino per il bene comune, la giustizia , lo sviluppo di Haiti. In questo grande progetto di ricostruzione dobbiamo metterci tutto il nostro cuore, la nostra mente, le nostre forze!».

Mons. André-Pierre sta rientrando ad Haiti per celebrare il Natale. E anche se le ferite del terremoto sono ancora molto profonde, lui non ha dubbi: «La gente qui ha una grande fede. È questa la forza più grande che ci ha permesso di non lasciarci andare alla disperazione».




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