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NIGRIZIA - Non disturbiamo i dittatori

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Messaggio  Admin Gio Mar 03, 2011 12:43 am

Non disturbiamo i dittatori

Luciano Ardesi

Sembra essere questa la parola d’ordine che ha guidato l’Europa nei rapporti con la sponda sud del Mediterraneo. La lotta al terrorismo, il contenimento dei migranti e una miope idea di “stabilità” hanno eliminato dall’agenda i diritti umani e la democrazia. Per cui, di fronte ai cambiamenti in Tunisia, Egitto e Libia, c’è un evidente imbarazzo europeo. Anticipiamo questa analisi pubblicata su Nigrizia di marzo.

In tempi in cui la politica, non solo italiana, si nutre di gossip, di comportamenti "privati", le acque del Mediterraneo riflettono lo stato delle cose sulle due sponde. Non si contano i dirigenti politici europei che hanno animato le feste da Marrakech al Nilo, che godendosi un buen retiro per ricostruirsi dalle fatiche del loro non sempre buon governo e volando a sbaffo sugli aerei di presidenti e re, o dei loro ricchi e compiacenti amici.

In Francia, il presidente Nicolas Sarkozy ha dovuto mettere in riga il governo. Il primo ministro, François Fillon, aveva trascorso le vacanze di Natale in Egitto a spese di Hosni Mubarak, e la ministra degli esteri, Michèle Alliot-Marie, si era rilassata in Tunisia, a spese del clan dell'ex presidente Ben Ali. D'ora in poi, i ministri dovranno chiedere il permesso per fare le vacanze all'estero a Sarkozy stesso, il quale, per parte sua, di cattivi esempi ne ha dati tanti.

Sull'altra sponda, non c'è presidente o re che non abbia i suoi lingotti e i suoi conti al sicuro in qualche banca europea o extracomunitaria (cioè in Svizzera). Senza contare i tappeti rossi e tanto altro - miss comprese, perfino con il Corano in mano - che li hanno accolti in tutte le capitali mediterranee ed europee.

Questi "piccoli" fatti di oggi e di ieri hanno strutturato, attraverso i rapporti personali, la politica estera dell'Europa. Facile capire perché Alliot-Marie avesse autorizzato l'invio di lacrimogeni al regime morente di Ben Ali e, poco prima, avesse pubblicamente offerto «le nostre tecniche di mantenimento dell'ordine», o perché le diplomazie europee, a partire dal nostro ministro degli esteri, Franco Frattini, si fossero affrettate ad auspicare il mantenimento dello status quo in Tunisia, quando già le strade e le piazze ribollivano della rivolta.

La reazione immediata dell'Europa è stata una "non reazione". È stato come se i riflessi della diplomazia si fossero appannati. Per troppi anni "stabilità" e "sicurezza" sono state le parole magiche cui l'Europa è ricorsa per puntellare i regimi della sponda sud del Mediterraneo. La bussola che ha guidato la diplomazia fino alla fine di Ben Ali - e anche dopo - è stata quella della lotta al fondamentalismo e al terrorismo e del contenimento dell'immigrazione. La dittatura è parsa la strada migliore per assicurare tutto ciò.

Nuova politica?
Era questa la "nuova politica mediterranea" progettata dall'Europa di fronte all'emergere del fondamentalismo e del terrorismo e all'aggravarsi degli squilibri economici e sociali di cui l'emigrazione era uno degli aspetti rivelatori? È bastato che un disperato ambulante tunisino si desse fuoco in una piccola località della profonda Tunisia, Sidi Bouzid, e che Piazza Tahrir del Cairo si muovesse, per togliere il velo dell'ipocrisia ai primi 15 anni di partenariato euro-mediterraneo. Ripercorriamo sommariamente questo periodo.

A Barcellona, nel novembre 1995, i paesi dell'Unione europea (Ue) e del Mediterraneo (Libia esclusa) si ritrovano per varare una politica comune. L'idea di fondo è quella di superare la logica degli accordi bilaterali e di creare un rapporto omogeneo all'interno del bacino mediterraneo. Il partenariato prevede la creazione di una zona di libero scambio entro il 2010 e l'introduzione di accordi di associazione con i diversi paesi affacciati sul Mare Nostrum.

L'iniziativa politica dovrebbe reggersi su tre "pilastri": a) diffusione della democrazia e rispetto dei diritti umani; a) creazione di una zona di libero scambio, intensificando la cooperazione economica, anche come base materiale delle libertà; c) cooperazione culturale per una più profonda reciproca conoscenza tra culture, religioni e società diverse.

Fin dall'inizio, la Tunisia è vista come il paese modello: è il primo, tra i partner del sud del Mediterraneo, a firmare l'Ue l'Accordo di associazione (1995). Con il progressivo allargamento dell'Ue ai paesi dell'est europeo, l'ambizioso progetto euro-mediterraneo si arena. L'11 settembre 2001 fa il resto. Improvvisamente, la priorità non è più lo sviluppo umano, sociale, politico ed economico, ma la lotta al terrorismo. Da notare che, al momento dell'attacco alle Torri Gemelle, nei paesi del Nord Africa sono già al potere (alcuni da molto tempo) tutti gli "uomini forti" che sono oggi alle prese con le rivolte popolari o ne sono stati travolti: da Mubarak a Mohammed VI del Marocco, passando per il libico Gheddafi, il tunisino Ben Ali e l'algerino Abdélaziz Boutéflika.

Dopo il 2001, il processo riprende sotto nuove forme. Si parla di Politica europea di vicinato (Pev); a spingere, sono soprattutto Germania e Gran Bretagna, che guardano soprattutto ai mercati alla periferia dell'Ue. L'idea è quella di una metodologia d'azione al servizio delle specificità di ciascuna regione. Per ogni paese viene ideato un piano d'azione, sulla base del quale sono fissati i rapporti bilaterali nei diversi campi. Vi saranno, quindi, paesi con "rapporti privilegiati" rispetto ad altri, anche dal punto di vista dell'aiuto economico, perché meglio rispondenti ai criteri prestabiliti.

L'abbondante letteratura prodotta dalla Commissione europea non deve trarre in inganno. A dispetto degli indici elaborati per fotografare ciascun paese, la diplomazia europea segue, in verità, un percorso del tutto diverso, che porterà all'odierna crisi. È proprio il caso di dirlo: i migliori "allievi" mediterranei sono stati quelli che le recenti proteste popolari hanno sbugiardato.

Finanziamenti
Per anni, Marocco, Tunisia, Territori palestinesi ed Egitto sono i paesi gratificati dai maggiori finanziamenti europei. Ma le valutazioni che l'Europa dà dei progressi in essi compiuti sono sempre sommarie, e le sue osservazioni critiche si arrestano proprio dove si manifesta il fallimento in materia di libertà.

Ed ecco un altro paradosso. Le libertà devono poter viaggiare sulle gambe di coloro che aspirano ad essa, ed è la maturazione della società civile organizzata il miglior modo per far progredire questo cammino. Ma la politica europea, con lo sbandierato desiderio di "diffondere la democrazia" grazie ai suoi diversi meccanismi di aiuto, si ferma sempre davanti al conflitto che potrebbe nascere con il despota di turno. E così, i Mubarak, i Ben Ali, i Boutéflika e i Mohammed VI non vengono disturbati. Dove l'appoggio esterno sarebbe più che mai indispensabile per contrastare le illiberalità, la liberale Europa si ferma: le violazioni delle libertà non scandalizzano più di tanto, se il regime partner, oltre a garantire "stabilità" in patria, accetta di fare lo sporco gioco della nostra "sicurezza".

Con queste premesse, non stupiscono le esitazioni della diplomazia europea, quando la rivolta popolare nel Nord Africa comincia a manifestarsi. Dopo la fuga di Ben Ali, i primi ad arrivare a Tunisi sono i diplomatici degli Usa. L'Ue, invece, sia in Tunisia che in Egitto, dapprima auspica il mantenimento delle dittature, quindi chiede che si plachino le violenze, e poi suggerisce l'avvio di un processo di transizione. In altre parole, si è lasciata guidare dagli avvenimenti, mostrando una scandalosa mancanza di strategia.

Sorprendente l'assenza dell'Italia. In tre lunghi mesi di crisi, da parte del nostro governo non c'è stato alcun gesto politico significativo nei confronti di Tunisia ed Egitto. Si è parlato, sì, di Berlusconi e di Mubarak, certamente fino alla nausea, ma non veramente in ragione della crisi in atto.

L'amico Gheddafi
Saltato il tappo della sicurezza, l'Europa rimane paralizzata dalla paura della piazza, del possibile dilagare del fondamentalismo islamico e del terrorismo. Ma è proprio questa paura a rivelare il fallimento della sua politica. Se l'appoggio senza condizioni alle dittature ha lasciato intatto il timore verso il fondamentalismo, significa che le dittature non hanno funzionato neppure in termini di interessi e di attese dell'Europa. Lo dimostrano i casi di Tunisia ed Egitto: la rivolta popolare è frutto della mancanza di libertà e di condizioni di vita decenti. In una parola: le dittature hanno privato la gente della dignità, ed è di questa che le folle si vogliono in primo luogo impadronire.

Sarà necessaria più che mai una nuova politica europea, che riveda alcuni suoi fondamenti fin qui prevalenti. La crescita economica non può avvenire senza libertà politica. L'Europa ha sprecato buona parte del suo denaro nel sostenere l'ipotesi contraria. Per nascondere le responsabilità della vecchia politica, la britannica Catherine Ashton, alta rappresentante per gli affari esteri dell'Ue, non trova di meglio che ricordare che «pure la nostra avanzata verso la democrazia liberale è stata caotica e lenta». Ora, tuttavia, promette di sostenere la società civile tunisina, anche in vista di elezioni libere. C'è da chiedersi perché non sia stato fatto prima, non cedendo ai ricatti di Ben Ali.

A fine gennaio, l'Ue ha preso la decisione di bloccare i conti della famiglia Ben Ali-Trablesi. Sono 48 finora le persone nella lista nera: una piovra che ha isterilito il flusso di denaro verso la Tunisia (330 milioni di euro nel periodo 2007-10), secondo paese, dopo il Marocco (654 milioni di euro), a beneficiare degli aiuti europei.

Mentre ci si riempie la bocca di diritti e di libertà a proposito di Tunisia ed Egitto, c'è silenzio assoluto sulle complicità, specie italiane, nelle violazioni della libertà in Libia, in modo particolare contro gli immigrati. Anche Gheddafi ha cominciato a fare i conti con la rabbia di ampi settori del suo popolo, che si è ribellato, a Partire dalla Cirenaica, e contro cui il colonnello ha scagliato le sue forze di polizia, causando numerosi morti. Ancora saldamente al potere appare il re Mohammed VI. Sarà proprio con l'atteggiamento nei confronti di questi due regimi che si capirà se l'Europa e l'Italia hanno imparato la lezione che viene dall'altra sponda del Mediterraneo.

Per il momento tutto lascia intendere di no. L'Ue continuerà a portare avanti una politica schizofrenica. Da una parte, sostegno - obbligato dai fatti - alle transizioni in corso in Tunisia e in Egitto; dall'altra, appoggio, silenzioso ma concreto, a Gheddafi e a Mohammed VI, nel timore che si scoperchi una nuova pentola.


Nigrizia - 25/02/2011

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