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Messaggio  Admin Mer Ago 22, 2012 8:38 pm

FONTE: MISSIONARI DEL PIME

L’invito cristiano a donare la propria vita per gli altri sembra difficile da comunicare a chi, in Ciad, ogni giorno combatte per la sopravvivenza. E noi? Siamo pronti ad accoglierlo realmente?

di padre Luca Dal Bo

Ho l’impressione a volte, quando mi rivolgo ai cristiani che vengono alla missione qui in Ciad, di parlare loro di cose di un altro mondo (e, in fondo, si tratta davvero di un altro mondo: il Regno di Dio!). Mi chiedo come il messaggio del Vangelo possa essere accettato nella sua pienezza da questa gente che ogni giorno combatte per sopravvivere. La tradizione insegna loro piuttosto il contrario: al fine di sopravvivere, meglio che sia l’altro a morire!
Quasi ogni giorno arriva gente a chiedermi di celebrare Messe per i loro cari defunti. Qui la Messa del funerale si fa dopo alcuni mesi dalla morte. La mia agenda è già al completo e la faccio vedere: «Non è possibile, non c’è più posto, né al mattino né al pomeriggio».
Ma quello che non è possibile in Europa qui in Africa diventa realizzabile! La gente mi fa notare che al mattino presto, verso le 6, sono libero, perché i miei impegni iniziano verso le 8,30. Ecco fatto, a costo di non perdere l’occasione di pregare per l’anima dei loro cari, ora ho qualche celebrazione programmata anche al mattino presto! Dio è davvero grande!
In questi giorni ho anche la processione dei bambini che avevo iscritto a scuola con l’aiuto che qualcuno mi aveva dato: sono una quarantina e vengono a mostrarmi la loro pagellina. Qualcuno è molto contento perché ha dei buoni voti, altri si vergognano un po’ perché non riusciranno a passare alla classe successiva. Io incoraggio chi va bene e rimprovero quelli che dovranno ripetere la classe, pur sapendo che il loro risultato negativo è dovuto al fatto che sono costretti a passare molto tempo in strada a vendere arachidi, manghi e aiutare così la famiglia a mangiare qualcosa.
È comunque una grande gioia sentirmi chiamare dal cortile: «Luca, Luca, Luca...», perché tutti vogliono mostrarmi la pagella e vogliono che la analizzi bene, che la commenti. Non importa se è bella o brutta, importa che io dia importanza agli sforzi che hanno compiuto! I loro genitori non la guardano neanche, spesso sono al mercato a vendere o bere la birra locale, o a mendicare qualcosa. I bambini sono la gioia del missionario, così diceva il beato Clemente Vismara, e aveva ragione; spesso ti arrabbi con loro, altre volte ti siedi ad ascoltarli, altre volte li aiuti... Ti fanno sentire importante perché li fai sentire importanti!
Il venerdì dopo Pasqua sono rientrato in missione la sera dopo alcuni incontri che mi avevano davvero ridotto a una polpetta!
Il tempo di deporre la moto e un responsabile di comunità arriva e mi dice: «Jean Louis è molto malato, bisognerebbe portargli l’Unzione degli infermi!». Rispondo che ci andrò domani verso le 11. Lui mi guarda, annuisce e riparte. Vado a fare una doccia e sento che un altro responsabile mi chiama. Sono stanchissimo e faccio fatica a camminare!
«Jean Louis è malato e chiede l’Unzione» mi informa il nuovo arrivato.
«Sì, lo so» rispondo. «Sono già d’accordo che andrò alle 11 domani mattina!».
Mi guarda perplesso e scuote la testa: «Jean Louis è molto malato».
«Va bene» acconsento. «Allora vengo domani mattina alle 6».
Ma quello, con voce sommessa, insiste: «La notte è troppo lunga per lui».
«Apri il cancello» cedo alla fine. «Prendo la moto e andiamo subito».
Jean Louis è un anziano combattente, un ottimo cristiano. Lo trovo disteso per terra su una stuoia, circondato dai suoi parenti. Mi accovaccio vicino a lui e gli chiedo se vuole l’unzione dei malati. Con un filo di voce mi risponde di sì. Ci mettiamo a pregare e lui con fede viva risponde e partecipa alla preghiera con le sue ultime forze.
Dopo l’unzione restiamo qualche momento a parlare. Gli dico che nella sua vita ha visto tante cose e che deve ringraziare il Signore per le opportunità che gli ha offerto; lui mi risponde che ringrazia il Signore per la vita tutta intera e per la fede. Mi dice che è dispiaciuto di doversene andare senza aver fatto la foto con i miei genitori che erano venuti in visita a Natale. Lo consolo dicendo che forse ci sarà un’altra occasione, ma lui mi guarda rassegnato: «Non fa niente, salutameli!».
Dopo una manciata di minuti, Jean Louis parte verso il Padre con una serenità e una fede impressionanti.
Il giorno seguente celebro il mio primo funerale in chiesa con la bara! Tutti si sono organizzati affinché potesse avvenire. Cristiani, musulmani e pagani, tutti al passaggio della bara sono rimasti in silenzio e in raccoglimento. Jean Louis era conosciuto da tutti, rispettava tutti e girava sempre con il suo messale personale con il nome scritto sulla copertina. La testimonianza che ha dato è davvero grande.
Grazie, Jean Louis.
Così, alle mie perplessità sul vangelo di Cristo donato a questo popolo, ho ricevuto risposte sufficienti per… interrogare me stesso. In che modo io vivo l’invito di Cristo: «Fate questo in memoria di me»?

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