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PRONTA PER PARTIRE

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Messaggio  Admin Mer Ago 22, 2012 3:46 pm

Federica e Giuseppe di Potenza, in partenza per il Bangladesh e la Tanzania «Ero una ragazzina e frequentavo la parrocchia di Gesù Maestro. Le parole del parroco don Mario Natalini e dei missionari come lui, mi hanno sempre colpito. Sono rimasta stregata dal loro sorriso. Arrivavano da posti ritenuti tra i più terribili della terra, ma noi occidentali quel sorriso non lo abbiamo mai avuto».
Federica Pietrafesa, 20 anni, di Potenza, è partita per Roma alla volta di Dakka in Bangladesh per un progetto promosso da Missio Giovani, l’organismo della Conferenza episcolale italiana insieme ad aòltri 15 giovani provenienti dalla varie realtà diocesane.
Un sogno che si avvera, insomma? «Volevo andare in Africa, in Benin, poi la guerra in Libia. Difficile che i miei genitori accettassero. Ma non mi sono data per vinta, quest’anno. Hanno sempre saputo che un giorno sarei partita, appoggiavano le mie idee. Ma è difficile poi accettare il “domani parto”. Avevo messo da parte i soldi e sarei partita a tutti i costi. Ci sono stati litigi, momenti critici. Poi hanno capito che c’era qualcosa che non si poteva arrestare e potevano ostacolarmi. È stato bello e oggi c’è l’orgoglio sul volto di mia madre che mi accompagna a fare le vaccinazioni per partire».

Partire per fare cosa? «Parto per un’esperienza di 20 giorni per arrivare a costruire qualcosa. Certo la povertà c’è anche qui e abbiamo tanti problemi sotto i nostri occhi, forse anche più difficili da affrontare. La mia è quasi una scelta facile quella di partire, sembra quasi un fuga, ma la speranza è tornare più forte per affrontare ciò che abbiamo qui, dove non c’è una famiglia che muore di fame per strada, ma la povertà è nelle case. Il mio viaggio è volto a capire cosa c’è dietro quel sorriso dei missionari, raccogliere il più possibile imparando dalle persone che incontrerò per ritornare con un passo più sicuro».

Ma come nasce questa esperienza? «Nasce da un episodio verificatosi una notte a Firenze quando incontrai per caso Risal, un giovane proprio di Dakka, la capitale del Bangladesh. Era lì per studiare, ma si era smarrito e non parlava bene l’italiano. Chiedeva aiuto. E anche io ero poco pratica della città. Ci siamo persi insieme lungo le strade di Firenze mentre mi parlava della sua città, svelandomi una realtà che non immaginavo. Lui benestante che non si vergognava di parlare della sua terra poverissima, delle divisioni sociali e delle tradizioni locali, non capiva le motivazioni che spingono gli occidentali nel suomondo. E quando l’ho riportato a casa, quanta gratitudine. Non un grazie veloce, come facciamo quando ci chiedono informazioni; mi ha invitato a casa sua, ha cucinato i piatti tipici del posto. Ci siamo visti ancora. Mi ha mostrato un modo di fare che non conoscevo. Dalle sue parole usciva la povertà, ma dai suoi modi gentili la ricchezza».

Un incontro determinante per la partenza? «Con il gruppo di Missio Giovani andiamo lì per guardarci intorno, per fermarci con le persone del posto. Non abbiamo un obiettivo materiale da realizzare, faremo quello di cui c’è bisogno nel posto dove saremo. Certo in 20 giorni non aiuteremo nessuno e non salveremo il mondo, ma sarà un’esperienza che ci potrà servire quando torneremo».

Un viaggio che è anche una sfida? «Quante vaccinazioni, quanti farmaci sono stati necessari! Penso a quanto siamo deboli e indifesi noi occidentali in quel mondo. Viviamo in una società tutta a servizio del nostro mondo e ci tiene nella bambagia. Possiamo imparare da queste persone che sanno vivere con niente. Sarà una sfida».

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno Basilicata

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