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COSTA D'AVORIO: UN ABBRACCIO SINCERO!

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Messaggio  Admin Sab Mag 12, 2012 8:53 pm

COSTA D'AVORIO: UN ABBRACCIO SINCERO!
Scritto da P. Stefano Camerlengo, IMC
Mercoledì 09 Maggio 2012 00:00

FONTE: MISSIONARI DELLA CONSOLATA

“Ai piccoli hai rivelato i misteri del Regno dei cieli!”
P. Stefano Camerlengo, IMC

1. Introduzione
Carissimi, mi trovo in Costa d'Avorio per la Conferenza della Delegazione e per una visita alle comunità. In questi ultimi tempi nel nostro Istituto stiamo parlando molto dell'importanza del dialogo interreligioso e come dovremo noi missionari metterci in prima linea in questo ambito. La domenica 28 aprile alla nostra missione di Marandallah mi sono trovato a realizzare una giornata di dialogo senza troppa pretesa, ma in una forma molto fraterna e vera che lascia ben sperare per l'avvenire. Dopo la celebrazione dell'Eucarestia che ha riunito i cristiani del posto, vissuta in due lingue veicolari affinché tutti potessero ascoltare la Parola, ci siamo ritrovati insieme ai capi musulmani del posto per dialogare e condividere un pochino di pasto fraterno, il tutto condito da tanta amicizia, musica e balli e tanta fraternità. Tante volte aspettiamo e sogniamo delle occasioni eccezionali, senza pensare e vedere che magari il quotidiano delle nostre missioni già ti offre qualche cosa di unico, che sta a noi scoprire e valorizzare. La Costa d'Avorio, soprattutto al Nord, è un terreno favorevole ed aperto al dialogo interreligioso, incominciando con la vita e la prossimità. La storia ci dimostra che questa relazione viene da lontano e può condurre anche lontano, a noi saperla orientare e continuare. Permettetemi di condividere alcuni pensieri “sparsi” nati da questo incontro, con la speranza che diventi dialogo vero.

2. Un po' di storia della Costa d'Avorio
Relazioni tra cristiani, musulmani e animisti in Costa d’Avorio
I Portoghesi furono i primi Europei a toccare la costa ivoriana nel 1470, seguiti dagli inglesi e dai francesi che giunsero nel 1637 ad Assinie. Le cause della presenza francese furono diverse: economiche, religiose e culturali. I Francesi vollero, tra l’altro, piantare il cristianesimo in Costa d’Avorio e frenare l’espansione dell’Islam. L’anno che si considera come quello della prima presenza della chiesa cattolica sul suolo ivoriano è il 1895. L’Islam penetrò in Costa d’Avorio in varie riprese. Famosa è l’azione del condottiero africano Samory Touré, originario della Guinea, paese confinante con la Costa d’Avorio, che, lasciato il Mali e rifugiatosi nel paese per sfuggire ai francesi, fissò la sua dimora a Dabakala, nel nord del territorio nazionale e s’impegnò nella diffusione dell’Islam in quelle regioni. Le due religioni importante coesistettero fin dall’inizio con l’animismo, religione originaria della gente del posto. Altre religioni si sono aggiunte negli anni, importate un po’ da tutto il mondo: buddismo, kimbanghismo, vudu, macumba...La Costa d’Avorio è rimasta tuttavia sempre un paese politicamente laico che ha concesso a tutti di costruire tranquillamente i propri luoghi di culto. Il Partito unico (PDCI) ha governato il paese fino al 1990 e, dal punto di vista religioso, le cose andavano bene. Nessun atto di vandalismo o di profanazione s’era registrato. Cristiani e musulmani s’invitavano reciprocamente alle feste religiose. Matrimoni misti erano possibili, in contrasto con la consuetudine dell’Islam in altri paesi; la gente abitava assieme nei villaggi; i bambini animisti e musulmani frequentavano le scuole cristiane, note per la loro serietà. Alla morte di Houphouet-Boigny, primo presidente della Costa d’Avorio, i nuovi partiti hanno cominciato ad utilizzare senza scrupoli la religione come mezzo per l’ascesa al potere. Hanno spinto verso l’identificazione di partito, regione, etnia e religione. Il Nord (musulmano) avrà dunque il suo partito, il Sud (cristiano) il suo... Dopo qualche anno comincia la violenza: il tempio di Agboville viene bruciato, la parrocchia cattolica del Blockhaus (Cocody-Abidjan) idem assieme all’auto del parroco. Vengono date alle fiamme alcune moschee a Yopougon-Abidjan. La polizia trova armi nei luoghi di culto... Si sono registrati molti casi di capi religiosi che invitavano i loro fedeli a votare un certo partito oppure a disertare le elezioni... Molti disordini al Nord... Le relazioni amichevoli hanno lasciato il posto all’idea: “Chi non è con me è contro di me!”... Alcuni abitanti sono stati cacciati dalle regioni in cui erano minoranza... Insomma la politica di uomini di potere bacati ha raggiunto almeno in parte i suoi obiettivi. Per fortuna esistono ancora nel paese veri uomini di Dio che predicano l’amore, la fraternità, la pace, la tolleranza. Essi esortano i fedeli a non seguire quei politici che utilizzano la religione per giungere al potere. Veglie di preghiera sono state organizzate ovunque tra cristiani, musulmani e animisti perché fosse chiaro a tutti che le religioni non spingono alla violenza ma all’amore del prossimo per la costruzione di un paese di pace e di solidarietà.

3. Il dialogo Interreligioso
Il dialogo fa parte dell'evangelizzazione perché è un mezzo di conoscenza e di comunicazione reciproca del messaggio di Gesù Cristo. Afferma il documento conclusivo dell'incontro interreligioso di Assisi nel 1986 : “Non c'è dialogo che non faccia entrare in un dinamismo di conversione. Un vero dialogo non può esistere che tra persone che sono totalmente fedeli alla specificità della loro fede. Un dialogo sincero esige l'onestà verso la propria fede e il desiderio di condividere con le persone che hanno l'esperienza di vivere un'altra fede, ascoltandoli con rispetto e considerazione!”. In un mondo diventato come un villaggio globale grazie alla facilità delle comunicazioni, le religioni non cristiane, per molto tempo estranee alla missione della chiesa, sono diventate elementi permanenti del panorama religioso mondiale. In questi ultimi tempi hanno assunto una notevole presenza nell'insieme non solo dell'universo religioso, ma anche del quadro socio-politico del mondo. Anch'esse hanno intrapreso la loro missione, anch'esse soffrono, come il cristianesimo, l'erosione culturale della globalizzazione, anch'esse sono confrontate con i problemi della pace del mondo. In occasione dei raduni di preghiera interreligiosa di Assisi del 27 ottobre 1986 e del 24 gennaio 2002 si è potuto vedere che tutte le religioni del mondo possono incontrarsi per pregare insieme e insieme studiare i problemi della pace nel mondo. Il papa Giovanni Paolo II, che ha voluto questi raduni, superando le perplessità di coloro che vi vedevano il rischio dell'indifferentismo, ha affermato che nel quadro di un "più spiccato pluralismo culturale e religioso, quale si va prospettando nella società del nuovo millennio, il dialogo è importante anche per mettere un sicuro presupposto di pace e allontanare lo spettro funesto delle guerre di religione" (NMI, 55). La Chiesa, attraverso questi incontri di preghiera ha già cercato di delineare e di mantenere un rapporto di apertura e di dialogo con le altre religioni. Ora, continua il Papa, "il dialogo deve continuare" (NMI, 55). La missione del futuro dovrà esplorare, attraverso una nuova teologia del pluralismo religioso, nuove vie di dialogo e di azione comune per consolidare la fede e preservare la pace religiosa. L'11 settembre 2001, al momento dell'attacco da parte del terrorismo islamico alle torri del World Trade Center di New York, la verità di questa affermazione del Papa è diventata evidenza.

4. Imparare il dialogo con: una nuova attenzione alla cultura
La missione, oggi più che mai, deve caratterizzarsi da un'attenzione speciale alla cultura della gente a cui siamo inviati. Purtroppo, non sempre e non dappertutto, la missione ha testimoniato questa attenzione per la cultura e per la profondità della persona. Troppi pregiudizi hanno impedito, in passato, di credere alla validità delle tradizioni culturali e religiose dei popoli non cristiani, fino a sottovalutare l'importanza della cultura come mezzo di evangelizzazione. Si presumeva che la maniera di vivere in occidente fosse la migliore possibile e che si dovesse quindi portare insieme con la fede anche la “civiltà”. In qualche luogo la rapidità dell'evangelizzazione ha impedito di curare le esigenze delle singole persone e la conoscenza delle loro tradizioni. Il risultato è stato un cristianesimo steso sopra la cultura "a somiglianza di vernice superficiale" (EN, 19), che non ha potuto penetrare nel fondo dell'uomo e della società. L'inculturazione è una sensibilità abbastanza recente, che tuttavia, nella missione del futuro, non può essere più ignorata, se vogliamo che il Vangelo metta radici profonde e trasformi significativamente le culture. La chiesa deve cercare di portare il Vangelo nel profondo delle diverse culture affinché esse quasi producano una nuova cultura. Lo ha detto, anche il Papa Giovanni Paolo II, in modo molto chiaro alle chiese d'Africa: "Una fede che non diventa cultura, è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata e non fedelmente vissuta" (EA, 78).

In difesa della cultura
Questo esige attenzione al valore della cultura particolare e anche difesa della cultura dall'attacco frontale che viene loro portato dalla cultura planetaria della globalizzazione che la corrode e la sostituisce con una nuova cultura dell'immediato, dell'effimero e dei consumi facili. La globalizzazione rischia di erodere i principi e i valori fondamentali dell'umanità prima ancora che del cristianesimo. La missione nel prossimo futuro deve procedere all'inculturazione anche per salvare la cultura locale dalla distruzione e dalla scomparsa. L'inculturazione è un compito che chiama in causa i vari operatori della missione ad gentes, in particolare le comunità cristiane con i loro pastori (RM, 52). Sono loro che devono permettere al Vangelo di rinascere dentro la loro vita e la loro storia producendo un cristianesimo che sarà sostanzialmente universale, ma che sarà caratterizzato dalla realtà culturale, storica e religiosa propria della cultura in cui rinasce. Questo apporterà alla comunione delle chiese i beni dei popoli, le loro ricchezze, come prevedevano i profeti per i tempi messianici (Is 60:5; Sal 72:10).

Con la responsabilità condivisa del processo d'inculturazione
Il compito di inculturare il messaggio evangelico è responsabilità specifica della comunità locale (RM, 52c), ma i missionari nel futuro dovranno meglio favorire tale cammino attraverso un processo di acculturazione che chiede loro di "inserirsi nel mondo socio-culturale di coloro cui sono mandati, superando i condizionamenti del proprio ambiente d'origine ... imparare la lingua della regione, conoscere le espressioni più significative della cultura, scoprendone i valori per diretta esperienza" (RM, 53). Lo stile di vita dei missionari e la loro maniera di esser presenti in mezzo alla gente dovranno riflettere sempre più chiaramente lo stile di Gesù, la Parola fatta carne che ha messo la sua tenda tra di noi. Proprio l'urgenza dell'inculturazione domanda ai missionari di essere vicini alla gente, di vivere con loro, di assumerne le
ansie e le speranze, cercando di vivere la loro fede in comunione profonda con le popolazioni cui sono stati inviati, evitando ogni sorta di “oppressione” con la loro potenza culturale ed economica.

5. Dialogo e missione
Il dialogo interreligioso caratterizzerà quindi la missione del futuro. Sicuramente esso non esaurisce la ricchezza della missione. Non dovrà essere fonte di equivoci o d'indifferentismo, come oggi certi temono. Non lo sarà, se il dialogo sarà considerato come un elemento costitutivo della missione, la quale si articola in una forte testimonianza della fede, in un atteggiamento di dialogo sincero e, nello stesso tempo, nella prontezza a proclamare l'unico salvatore, Gesù Cristo. Questo annuncio dovrà essere sentito non solo come un dovere, ma come un profondo bisogno del cuore raggiunto dall'amore del Salvatore. Ancora una volta emerge l'importanza della testimonianza personale e della santità del missionario per la missione del futuro. Il dialogo interreligioso sollecita il missionario a vivere profondamente la sua fede, a considerarla il tesoro più grande della sua vita e a ritenere l'evangelizzazione "l'annuncio gioioso di un dono che è per tutti e che va a tutti proposto con il più grande rispetto della libertà di ciascuno" (NMI, 56). Il missionario non si dovrebbe preoccupare troppo della risposta del suo interlocutore non cristiano: la conversione e la salvezza vengono da altri. Egli deve invece cercare di rimanere aperto al dialogo con tutti, nell'ascolto e nella proposta della sua fede attraverso i gesti della sua vita e, appena possibile, attraverso la parola. Mantenere aperto il dialogo è una responsabilità di cui la missione futura non potrà esimersi in alcun modo, sia per le molte occasioni di incontro che il mondo attuale offre, sia per il bisogno che tutti i credenti abbiamo di coniugare le forze per mantenere viva la fede in Dio in un mondo dove la sua presenza, troppo spesso, rischia di essere dimenticata.

Piccola conclusione
Ecco, carissimi, un cammino ed alcuni spunti affinché il dialogo diventi il nostro stile di fare la missione nel rispetto delle persone e delle culture, imparando e iniziando dai semplici e poveri.
“Il dialogo, inevitabile e indispensabile, è la consapevolezza che per essere noi stessi, semplicemente per essere, dobbiamo entrare in comunione con la terra sotto, gli uomini al nostro fianco e in alto i cieli”. R. Panikkar

Abidjan 05.05.2012

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